Il ruolo dell’attività motoria nel piano di trattamento delle patologie associate al diabete mellito di tipo 2 in età avanzata

di Gerardo Corigliano

Introduzione
Negli ultimi anni è cresciuto in misura esponenziale nelle edicole di tutto il mondo il numero di riviste dedicate alla tematica dell’attività fisica e del benessere. Parallelamente si assiste ad un fenomeno in precedenza quasi sconosciuto: il regolare svolgimento di attività fisica viene consigliato dal medico – sia pure in forma molto generica – a complemento della terapia tradizionale ai fini preventivi e curativi. Ciononostante, una ricerca condotta in Inghilterra e pubblicata di recente ha dimostrato come, addirittura fra i componenti dei team diabetologici, al di là del sicuro effetto benefico a breve termine sui livelli glicemici, sussistano dubbi sull’utilità a lungo termine dell’esercizio fisico ai fini del compenso metabolico e della prevenzione delle complicanze. Tale osservazione corrisponde a quanto comunemente osservato nella nostra realtà quotidiana, nonostante ai benefici dell’esercizio fisico sia dedicata ogni anno una pagina delle linee guida aggiornate dell’American Diabetes Association regolarmente pubblicate come supplemento a Diabetes Care.
Ci sembra pertanto tutt’altro che superfluo offrire una revisione critica della letteratura per quanto attiene agli effetti benefici dell’attività fisica regolare su aspetti meno approfonditi del diabete mellito di tipo 2 (T2DM), come le patologie più spesso associate a tale malattia in età avanzata.
Giova ricordare come l’American College of Sport Medicine emani regolarmente linee guida sull’attività fisica: fra quelle più recenti spicca la scelta delle attività moderate di resistenza, degli allenamenti di forza con molte ripetizioni e bassa resistenza e degli esercizi di flessibilità come terapia comportamentale del diabete mellito. Nell’anziano in generale, l’esercizio fisico produce di per sé effetti positivi su:
– massa e forza muscolare;
– grado di mineralizzazione ossea;
– sintomatologia artritica;
– tono dell’umore;
– durata della vita;
– rischio di insorgenza o aggravamento di patologia, con particolare riferimento a coronaropatia, cadute e, appunto, T2DM.
A testimonianza dell’effetto preventivo dell’esercizio fisico sul T2DM, citiamo, fra i tanti, lo studio di Rotterdam, condotto su 1016 soggetti sani di età compresa fra 55 e 75 anni utilizzando un questionario sull’attività fisica e l’OGTT, ha dimostrato una riduzione del rischio di ridotta tolleranza glucidica e soprattutto di diabete mellito negli anziani fisicamente attivi. Altro studio recente e molto interessante, ad es. è quello prospettico di popolazione condotto su 8633 uomini esaminati almeno 2 volte nell’arco di sei anni ai fini della valutazione del massimo consumo di ossigeno e di parametri antropometrici e routinari: il quintale meno allenato, specie se di età anziana ed obeso, risultava notevolmente più a rischio per T2DM.
Patologie associate al T2DM
D’altra parte è interessante notare – a questo punto – come molto spesso si trovino associate al T2DM proprio patologie in grado di influenzare negativamente i fenomeni riportati nell’elenco precedente, come:
– fragilità ed infezione ricorrenti;
– obesità;
– ipertensione arteriosa;
– ipercoagulabilità;
– aterosclerosi coronaria, carotidea, femorale;
– incontinenza urinaria;
– osteoporosi, neoplasie, depressione psichica.
Hayes & Clark, 1999 (14) hanno tentato di dare una risposta ad un quesito fondamentale: quali siano, cioè, le barriere frapposte fra diabetico di tipo 2 ed attività fisica; somministrando un questionario specifico a 260 pazienti di età superiore a 54 anni affetti da T2DM e risultati sedentari per il 54,6%, con prevalenza del sesso femminile. Il risultato dello studio sottolinea il peso di fattori socio-psicologici: correlavano al grado di attività fisica l’età giovane, il livello culturale elevato, l’assenza di barriere motivazionali ed una buona autovalutazione in termini di salute percepita e di prestazioni attese.
D’altronde è indubbio che nel diabetico anziano la salute percepita e soprattutto le prestazioni attese non possono essere simili a quelle dei ventenni, se solo si presta attenzione al fatto che fra i 30 e gli 80 anni di età si realizza un progressivo dimezzamento del numero di fibre e quindi della sezione del corpo muscolare da queste composto al di là dei positivi effetti dell’allenamento fisico protratto nel tempo. Con l’avanzare dell’età, inoltre come si rileva facilmente dalla Fig.1, cresce la fatica intesa come percezione del lavoro (leggero, pesante, molto pesante) in rapporto all’intensità.

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Fragilità ed infezioni ricorrenti
Il diabetico è particolarmente predisposto alle infezioni e tanto più lo è in età anziana, per il naturale ridursi delle difese naturali. L’esercizio fisico regolare è in grado di potenziare la risposta immunitaria, costituendo così un elemento di protezione efficace nei confronti dell’aggressione da parte di germi patogeni. Ma è altrettanto vero che l’anziano di età compresa tra i 63 e i 78 anni, sforzandosi di essere attivo, contenendo il peso e astenendosi contemporaneamente dal fumo, vede ridursi di 2-3 volte l’indice di disabilità, peraltro fatalmente progressivo di per sé.
Obesità
Da una meta-analisi di 24 lavori sugli oltre 700 dedicati al tema, analizzando mortalità per malattie cardiovascolari, coronaropatia per ipertensione arteriosa e T2DM, Blair e Brodney, 1999, hanno rilevato come:
a) soggetti attivi o allenati siano protetti dai rischi tipici dell’obesità
b) gli obesi attivi abbiano una minor morbilità e mortalità rispetto ai normopeso sedentari
c) i soggetti sedentari o con una scarsa condizione cardiorespiratoria presentano la stessa immortalità degli obesi, a testimonianza che non è tanto la sola obesità a costituire un fattore di rischio quoad vitam quanto la sedentarietà che molto spesso le fa da corollario.
A tale proposito appare molto interessante il fatto che, anche se il semplice atteggiamento attivo (passeggiare abitualmente) consente all’obeso di ridurre in media dell’8% il peso entro l’anno, solo un’attiva fisica programmata (palestra) assicura il mantenimento negli anni del risultato conseguito verosimilmente grazie non solo alla riduzione della percentuale di massa grassa, ma anche alla redistribuzione della stessa a favore di quella sottocutanea e a sfavore di quella viscerale.
Ipertensione arteriosa, ipercoagulabilità, ateroscerosi coronarica, carotidea, femorale.
Fondamentalmente in proposito è il risultato di uno studio noto a tutti i geriatri, l’Harvard Alumni Study, che viene via via rivisitato a mano a mano che si accumulano i nuovi dati interessanti. Nella versione pubblicata nel 1993 da Paffenbarger e coll. Esso consentiva di dimostrare una riduzione notevole degli eventi cardiovascolari sia fatali che non fatali nei soggetti che svolgevano un’attività fisica rilevante nel corso della vita. Questo non meraviglia, ad es., alla luce del dato ormai acquisito che l’insulinoresistenza rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare rilevante, visto che l’attività fisica consente di ridurre le concentrazioni circolanti basali di insulina, indicative del grado di insulinoresistenza stesso e addirittura una proiezione dei dati relativi al Normative Aging Study condotto in Australia assegnerebbe alla forza muscolare – intesa come indice di allenamento – un valore predittivo a distanza di 22.5 anni sull’insulinemia basale. Infatti, stando agli studi recenti, a mano a mano che aumenta l’insulino – sensibilità, diminuisce lo spessore della tunica intima carotidea, a sua volta strettamente correlata a rischio cardiovascolare.

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Come si può notare dalla Fig. 2, la frequenza stessa dell’attività fisica, indice a sua volta del grado di allenamento, è stata dimostrata correlare direttamente all’insulinosensibilità, tanto che basta un’attività blanda per incrementarla ed un’attività più intesa per raddoppiarla quasi. Ed è importante, a questo punto, ricordare che l’attività fisica di tipo aerobico riduce i fattori associati ad insulino resistenza quali l’ipertensione arteriosa, la trigliceridemia (VLDM) e le LDL piccole e dense ed aumenta le LDL di maggiori dimensioni ed il fattore protettivo tipico nei confronti del rischio cardiovascolare, quali l’HDL – colesterolo.
Secondo i dati del Cardiovascular Health Study, poi, il rischio relativo per mortalità cardiovascolare quasi decuplica fra i 65 e gli 85 anni di età, ma è fortemente influenzato da fattori comportamentali, quali l’attività fisica, tanto che i dati “aggiustati” per i fattori confondenti raddoppiano solamente, dimostrando il ruolo meno rilevante dell’età rispetto allo stile di vita. Secondo Gardner e Pohelman, 1955, anche il quadro clinico dell’arteriopatia obliterante degli arti inferiori migliora nettamente dopo un periodo di allenamento di resistenza correlato alle reali possibilità del soggetto: un’attività programmata e controllata di almeno 30’ per seduta per almeno 5 sedute a settimana e per almeno 24 settimane raddoppia la distanza coperta sia prima che compaia il dolore che in condizioni di dolore sopportabile. L’incontinenza urinaria è frequente nella donna anziana (10% circa), specie se è diabetica. Un’attività fisica mirata al potenziamento della muscolatura pelvica ne riduce l’incidenza anche se la terapia è complessa e richiede un’attenta valutazione della natura stessa del fenomeno: se ne riconoscono infatti un tipo “da sforzo”, uno “neurogeno” (da scarso controllo sfinterico) ed uno da “superflusso o paradossa”. L’attività fisica regolare progetto il diabetico anziano dal danno osteoporotico attraverso due meccanismi: riducendo l’emoglobina glicata e favorendo l’ossigenazione della struttura metabolicamente attiva dell’osso (meccanismo diabete-specifico) e attraverso lo stresso meccanico, a sua volta in grado di stimolare la neoapposizione e di inibire il riassorbimento della matrice da un lato e di favorire dall’altro la realizzazione di un’architettura ossea ottimale incrementando l’area traversa corticale e il diametro estremo dell’osso. D’altra parte, in caso di sedentarietà il numero di fratture d’anca aumenta notevolmente nei soggetti anziani, anche se in misura proporzionale al grado di osteoporosi rilevata al livello del calcagno. Ai fini della protezione dell’osteoporosi vanno preferiti esercizi che garantiscano il carico sulla massa ossea complessiva, dotati di maggior effetto sull’osso trabecolare (l’osso corticale risponde meglio alla trazione da parte del muscolo stesso che al carico, tanto da potenziarsi con attività fisica intensa e prolungata). Gli esercizi vanno svolti almeno per 30-60’ per seduta e per almeno 2-3 sedute a settimana. L’età comporta un notevole aumento di neoplasia anche se il diabete rappresenta un fattore di rischio specifico. Infatti uno studio caso-controllo multicentrico italiano su 1225 soggetti con cancro del colon e 728 con cancro del retto contro 4154 soggetti esenti da malattia ha fatto rilevare un odd ratio di 1.2-1.5 a favore del T2DM: in particolare l’associazione con il cancro del grosso intestino-retto appare significativa con il T2DM diagnosticato da almeno 10 anni (17). A tale proposito è interessante notare che l’attività fisica sembra rappresentare un fattore di protezione nei confronti di vari tipi di neoplasie in condizioni sia cliniche che sperimentali (22) e, stando ai dati di Thune e coll., 1997 (27), che deponevano per la presenza di 351 casi di neoplasia mammaria su 25624 donne di età compresa fra i 20 e 54 anni seguite per 13.7 anni, il rischio relativo, dopo correzione per vari fattori confondenti, quali BMI, altezza, area di origine, parità, quasi dimezza in presenza di un’attività fisica intensa e regolare (almeno 4 ore a settimana).
Lo sport praticato con estrema regolarità (almeno 8 ore a settimana) appare infine protettivo nei confronti del cancro polmonare (quasi con un dimezzamento del rischio relativo) nell’uomo. Una messa infinita di studi condotti nell’ultimo decennio hanno dimostrato come il diabete mellito rappresenti u elemento scatenante ai fini della depressione psichica.
Ebbene, l’attività fisica è in grado di ridurre nettamente la condizione di ansia reattiva o caratteriale e di depressione nel soggetto anziano sano.
Conclusioni
L’enorme potenziale di difesa che l’esercizio fisico propone all’organismo senescente, tanto più se gravato dal T2DM e dal rischio delle patologie associate deriva dal positivo intrecciarsi di 4 fattori importanti, direttamente ad esso legati:
a) incremento del rapporto tra massa magra e grassa, con i relativi importanti risvolti eumetabolici;
b) efficienza del sistema cardiovascolare;
c) forza e tonicità dei muscoli addominali e resistenza alla fatica;
d) flessibilità del tratto lombo-sacrale e degli arti.
Come membri attivi dell’A.N.I.A.D. (Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici) ci sforziamo da anni ad ottenere dalle istituzioni il supporto necessario ad inserire l’esercizio fisico programmato e controllato negli schemi terapeutici con pari dignità-e minor costo-rispetto ai supporti farmacologici e a regime dietetico. Per ottenere tanto occorre un mutamento culturale dell’intera società e, già a partire dal corso di laurea un’adeguata preparazione del medico nei confronti delle modalità di prescrizione del corretto schema motorio in rapporto alle condizioni del paziente. Fortunatamente molti segnali indicano ormai che i tempi sono maturi perché il nostro sogno si realizzi, sia pure in forma modulare a breve termine.

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