AGGIUSTAMENTI DELLA TERAPIA INSULINICA E DEGLI IPOGLICEMIZZANTI ORALI IN CORSO DI ATTIVITA’ FISICA
L’esercizio fisico è un fattore di mofìdificazione dell’abituale andamento glicemico. Esso pertanto espone il soggetto diabetico a variazioni della glicemia in entrambi i sensi rispetto all’andamento abituale. Al fine di evitare grossolane oscillazioni della glicemia il soggetto diabetico deve volontariamente modificare il programma terapeutico e l’apporto di carboidrati mimando spontaneamente quanto sarebbe avvenuto in condizioni di normale secrezione insulinica. Profondamente diverso è tale l’adeguamento in caso di diabete mellito tipo 1 o comunque trattato con insulina e in caso di diabete mellito tipo 2 trattato con ipoglicemizzanti orali; pertanto i due capitoli saranno trattati separatamente.
Aggiustamenti della terapia insulinica.
Per comprendere bene i meccanismi che sottendono gli adeguamenti insulinici è necessario conoscere brevemente la fisiologia della secrezione insulina in corso di attività fisica (A.F.). Nel soggetto sano già pochi minuti dopo l’inizio di una sessione di A.F. vi è un’attivazione adrenergica neuromediata sulla beta cellula che produce riduzione dell’insulinemia; tale meccanismo da un lato aumenta la liberazione epatica di glucosio dall’altra protegge da un’eccessiva utilizzazione muscolare; la conseguenza di tutto ciò sarà una normoglicemia stabile come si evince anche in caso di attività fisiche strenue ad esempio ultra maratone. (vedi figura 1)
Questo comporta che l’aumentato output epatico di glucosio compensi in modo sovrapponibile l’aumentata utilizzazione muscolare di glucosio mantenendo pertanto la glicemia stabile. (vedi figura 2)
Aggiustamenti della terapia insulinica.
· Il muscolo utilizza glucosio derivato dalla glicogenolisi muscolare
· Il muscolo incrementa l’estrazione di sostanze nutritizie dal sangue (glucosio e acidi grassi liberi); l’estrazione di glucosio può aumentare anche di 20 volte.
· Il fegato per mantenere il livelli ematici di glucosio nella norma, deve aumentare la sua produzione di glucosio (attraverso la glicogenolisi prima e la neoglucogenesi poi).
La regolazione ormonale in corso di A.F. comprende oltre la suddescritta riduzione dell’insulinemia, un aumento degli ormoni della controregolazione in particolare catecolamine e glucagone e, se l’esercizio fisico dura a lungo, dell’ ormone della crescita e dopo la 2°-3° ora anche del cortisolo. Il significato clinico di tali aumenti ormonali è quello di stimolare una glicogenolisi epatica e muscolare per rifornire l’organismo di glucosio a mano a mano che viene ossidato a livello muscolare e successivamente, quando le scorte di glicogeno cominciano a impoverirsi, attivare (attraverso l’aumento del cortisolo) una neoglucogenesi a partire da substrati non glicidici a 3 atomi di carbonio.
Nel diabetico insulino-trattato la fisiologica riduzione dell’insulinemia evidentemente non avviene. Egli è pertanto maggiormente esposto ad episodi ipoglicemici legati all’iperinsulinemia periferica. D’altra parte un esercizio fisico che viene a cadere in una fascia oraria di estrema sotto insulinizzazione, per il noto meccanismo di Feed-Back dell’insulinemia portale sulla produzione epatica di glucosio, determina una iperglicemia paradossa e talora il rischio di chetosi per elevata ossidazione di acidi grassi che producono residui acetilici in eccesso alla capacità di smaltimento del ciclo di Krebs. Questa iperglicemia paradossa può essere favorita inoltre dalla nota iperglucagonemia presente nel diabetico tipo 1 e da un eccesso di produzione catecolaminica in caso di attività fisica particolarmente intensa e stressante. Il rischio di iperglicemia da attività fisica è meno pronunciato in caso di diabete tipo 2 insulino-trattato o tipo 1 con residuo pancreatico poiché in questo caso la sotto-insulinizzazione critica è un evento più raro; permane invece, evidentemente, in rischio di crisi ipoglicemiche. Dunque la risposta glicemica all’attività fisica in rapporto al livello di insulinizzazione portale può essere schematizzata come da figura 3 a scopo didattico.
Altri aspetti problematici che condizionano una diversa risposta glicemica all’esercizio fisico in diabetici insulino trattati riguardano:
1. Aumentata sensibilità all’insulina nelle ore successive all’esercizio fisico.
2. Modificato assorbimento dell’insulina dai siti di deposito.
3. Timing dell’esercizio fisico in rapporto all’ultima iniezione di insulina
4. Tipo di attività (aerobica, anaerobica)
5. Durata dell’attività
6. Schema terapeutico adottato
7. Trend glicemico nelle ore precedenti l’esercizio fisico
8. Risposta glicemica abituale e personale alla A.F.
Questa complessità di fattori spiega la difficoltà di delineare linee-guida valide per tutti i diabetici e costituisce un banco di prova nell’autogestione del diabete che talora può scoraggiare il paziente se non adeguatamente seguito e consigliato dal proprio diabetologo e se non in possesso di un valido bagaglio di conoscenze sull’argomento.
Esaminiamo in dettaglio questi singoli aspetti.
Aumentata sensibilità all’insulina nelle ore successive all’esercizio:
E’ noto che una singola seduta di A.F. determina un aumento della sensibilità periferica all’insulina che però recede entro 24/36 ore. Se le sessioni di A.F. si susseguono con regolarità tale aumentata sensibilità risulterà piuttosto stabile (effetto training) e ciò comporterà minori oscillazioni glicemiche in quanto l’adeguamento della dose totale insulinica potrà essere stabile e non episodico in rapporto alla singola sessione di A.F.
Del fenomeno dell’aumentata sensibilità all’insulina nelle ore successive all’esercizio va tenuto conto per programmare le dosi di insulina successive all’esercizio stesso, specie la dose di insulina lenta notturna per esercizi che si svolgono nelle ore serali. Un rischio particolare riguarda soggetti non allenati che praticano attività fisica nelle ore serali o pomeridiane. In tal caso, poiché viene utilizzato prevalentemente il glicogeno anziché gli acidi grassi (condizione metabolica tipica dei soggetti non allenati) nelle ore successive all’A.F., al fine di ricostituire le scorte di glicogeno viene sottratto glucosio dal sangue circolante e ciò produce il rischio di importanti crisi ipoglicemiche fino a 12 ore dopo la fine dell’A.F. stessa (sindrome dell’ipoglicemia ritardata notturna).
In questi casi l’adeguamento insulinico e l’adeguamento nell’apporto dei carboidrati dovrà essere effettuato non solo prima dell’esercizio fisico stesso ma anche per quei tipi di insulina la cui azione si protrae fino a 14 ore dopo la fine dell’esercizio stesso.
Modificato assorbimento di insulina dai siti di deposito:
A causa dell’iperemia, del calore prodotto e dell’aumentata velocità di circolo l’insulina depositata nei siti sottocutanei può essere più velocemente assorbita. Il problema riguarda assai poco gli analoghi dell’insulina, maggiormente l’insulina umana regolare e soprattutto l’insulina ad azione intermedia. Ne consegue che la cinetica dell’insulinemia prevista viene modificata grandemente e di ciò va tenuto conto sia nella scelta delle dosi che nella supplementazione calorica e di carboidrati. Bisogna scegliere con cura i siti di iniezione evitando di iniettare l’insulina precedente e successiva all’esercizio fisico in parti del corpo coinvolte direttamente nell’attività muscolare. Una buona regola è quella di iniettare l’insulina sempre sull’addome ruotando i punti di iniezione in modo di minimizzare questo rischio. Va tenuto conto che anche un ambiente caldo umido può, attraverso la vasodilatazione del letto capillare, facilitare l’assorbimento dell’insulina. Questa condizione si può realizzare, a livello di micro clima, quando un soggetto diabetico alla fine di un esercizio fisico pratichi una doccia calda e resti in un ambiente saturo di vapore caldo e magari subito dopo inietta l’insulina per poi consumare il pasto. E anche questo rischio può essere minimizzato evitando di praticare una doccia calda o di stazionare in ambiente caldo umido immediatamente a ridosso dell’iniezione di insulina.
Timing dell’esercizio fisico in rapporto all’ultima iniezione di insulina:
Per quanto detto finora il timing dell’esercizio fisico condizionerà fortemente il comportamento glicemico a seconda se A.F. viene effettuata in fase postprandiale, interprandiale o preprandiale. Poiché il diabetico deve artificialmente mimare la naturale secrezione pancreatica realizzando un esercizio fisico in condizioni di basso livello insulinemico, la raccomandazione è di effettuare l’attività fisica almeno 2-3 ore dopo l’iniezione di un analogo rapido dell’insulina, 4-5 ore dopo l’iniezione di insulina umana regolare e dopo almeno 8-10 ore dall’iniezione dell’insulina intermedia. Pertanto gli orari ideali possono essere il primo mattino (prima dell’iniezione dell’insulina pre-colazione) oppure nella tarda mattina o nel tardo pomeriggio. Nel caso non si possa rispettare questa norma di prudenza è indispensabile aumentare l’apporto di carboidrati intra e post esercizio nella misura di 25-50gr di glucosio per ogni ora di A.F.
Durata dell’attività.
E’ evidente che più lunga è l’attività fisica maggiore sarà il dispendio energetico e quindi il rischio di ipoglicemie. Pertanto per attività di scarsa intensità ma di lunga durata l’adeguamento della dose insulinica non dovrà riguardare solo la rapida iniettata precedentemente ma anche quella successiva ed eventualmente anche l’insulina intermedia.
Tipo di attività fisica:
La risposta glicemica e l’utilizzazione preferenziale di substrati a scopo metabolico variano grandemente a seconda se si pratichi A.F. di brevissima durata ma di grande intensità (anaerobica alattacida), di media intensità e di medio breve durata (anaerobica lattacida) e di bassa intensità con lunga durata (aerobica alattacida).
Le caratteristiche di questi 3 tipi di attività sono mostrate nelle tabelle 4-5-6.
È evidente che l’attività maggiormente consigliata è quella aerobica alattacida. Infatti “…L’ATTIVITA’ FISICA PROLUNGATA, EFFETTUATA AL DI SOTTO DELLA SOGLIA ANAEROBICA INDIVUALE PREDETERMINATA, PRATICATA IN CONDIZIONI DI CONTROLLO METABOLICO, SEMBRA ESSERE QUELLA CHE MEGLIO SI ADATTA AL DIABETICO. ESSA, SE PRATICATA SISTEMATICAMENTE, ORIENTA IL MUSCOLO ALL’USO DI MISCELE COMBUSTIBILI PIÙ RICCHE IN GRASSI CHE IN CARBOIDRATI (QUINDI MINOR RISCHIO DI IPOGLICEMIE) E PUÒ ESSERE PROSEGUITA ANCHE NELL’ETA’ ADULTA E NELLA MATURITA’.”
Paradossalmente le attività aerobiche alattacide di lunga durata espongono meno a rischio di ipoglicemie per una serie di motivi come:
· Essere abitualmente allenati e pertanto capaci di praticare attività di lunga durata
· Per tale tipo di attività dopo circa un’ora il principale substrato utilizzato sono gli acidi grassi liberi e i trigliceridi del tessuto adiposo: ciò determina un risparmio di glucosio e quindi, a dispetto della lunga durata di attività, un minor rischio di crisi ipoglicemiche.
Nella figura 7 si evidenzia l’utilizzo preferenziale dei substrati energetici in rapporto alla durata della pratica sportiva.
Schema terapeutico:
E’evidente che affinché vi sia un ottimale management della terapia insulinica essa va refratta in molte dosi, pertanto una qualunque pratica sportiva è assolutamente incompatibile in diabetici che pratichino meno di 3 iniezioni al giorno. Lo schema terapeutico deve prevedere 4 o più iniezioni al dì con lo scopo di dare insuline rapide che coprano da un pasto a quello successivo e la intermedia per la copertura notturna. Tale schema consente facilmente di individuare quale tipo di insulina è presente nel sangue nel momento dell’A.F. e nelle ore successive e di operare, pertanto, modifiche relativamente a quella singola somministrazione. Problemi specifici riguardano soggetti in trattamenti analoghi che pratichino esercizio fisico nel tardo pomeriggio. In questo caso il livello di insulinizzazione può essere eccessivamente basso tanto da determinare una iperglicemia paradossa; è consigliato pertanto in tali pazienti un’iniezione supplementare intorno alle ore 17-17.30 con 1-2 unità di analogo al fine di ristabilire adeguati livelli insulinemici. Evidentemente, però, l’analogo iniettato successivamente all’attività fisica pre-cena andrà ovviamente ridotto in rapporto al dispendio energetico e alla glicemia del momento. Nella vita quotidiana incorre spesso l’opportunità di praticare un’attività fisica specie di squadra intorno alle ore 19-20 (in genere alla fine dell’orario di lavoro). Ciò espone ugualmente il soggetto ad un rischio di sottoinsulinizzazione critica nelle ore della A.F., anche se hanno iniettato insulina regolare a pranzo, ed in più crea il problema di un troppo ravvicinato utilizzo dell’insulina serale che verrà spostata alle ore 22 rispetto a quella abituale bed-time. In questo caso il supplemento di insulina pomeridiano potrà essere slittato intorno alle ore 18/18.30 ma poi a causa del possibile rischio di sovrapposizione dell’insulina serale ed di quella bed-time iniettate tardi e troppo ravvicinate fra di loro andrà adeguatamente ridotta la dose per evitare ipoglicemia nella fascia oraria dalle 02.00 alle 04.00 in cui notoriamente vi è un Nadir glicemico.
Tutte queste problematiche potranno essere facilmente risolte con l’utilizzo dell’analogo lento Glargina (Lantus – Aventis) che, iniettata alle ore 23.00 determina un grado di insulinizzazione a “plateau” abbastanza fisiologico e stabile per 20-24 ore. In questo caso non vi sarà più né il rischio di praticare A.F. in condizioni di sottoinsulinizzazione (crisi ipoglicemica), potendo ritardare liberamente le dosi di analogo e gli orari dei pasti, ed annullando di fatto la problematica del timing dell’A.F. come ho potuto constatare nella mia personale esperienza. Ancora più semplice è l’adattamento della terapia insulinica in atleti diabetici portatori di microinfusori. Infatti si può in maniera più fisiologica ridurre l’insulinemia pre-esercizio abbassando la velocità basale nelle ore di A.F. (molti la dimezzano e taluni addirittura sospendono l’infusione per 1.2 ore) questa manovra di adattamento consente di operare un piccolo (o nessuno) adeguamento dei boli prandiali.
Trend glicemico pre-esercizio:
Molti atleti diabetici, come rilevato anche da un’inchiesta condotta negli U.S.A., sono soliti controllare la glicemia 2 ore prima, 1 ora prima e subito prima l’inizio di una sessione di A.F. Ciò consente di valutare il trend glicemico e quindi di avere un’idea del livello insulinemico di quelle ore (eccessivo nel caso di cospicua riduzione glicemica, insufficiente in caso di trend glicemico che mostri una crescita eccessiva.). Si hanno, pertanto, informazioni importanti per modulare gli adeguamenti della terapia insulinica sessione per sessione prendendo in considerazione anche il comportamento glicemico pre-esercizio.
Riposta glicemica abituale all’A.F.:
Un ulteriore fattore, del tutto individuale, è la risposta glicemica che ogni singolo diabetico ha in rapporto alle sessioni e alla tipologia di A.F. Questo fattore, ancor meno di altri, si presta a standardizzazione. Va tenuto, però, conto del fatto che taluni diabetici possono avere una spiccata tendenza all’ipoglicemia anche per esercizi di scarsa intensità e durata e altri una abituale risposta paradossa iperglicemica all’A.F. spesso di breve durata e legata verosimilmente allo stress che accompagna l’evento sportivo. Va considerato anche che nello stesso soggetto la risposta glicemica può cambiare a seconda del tipo di A.F. (per esempio tendenza ad abbassamento glicemico durante passeggiate o escursioni tipo trekking, e picchi iperglicemici in seguito ad una partita di calcetto).
Va infine sottolineato, e questo vale come regola generale, che il rischio di ipoglicemia è tanto minore quanto più è aerobica l’A.F. e quanto maggiore è il grado di allenamento. Da quanto sopra descritto, pur se in maniera semplificata rispetto alla complessità del fenomeno, è evidente che gli adeguamenti nella terapia insulinica saranno tanto più efficaci quanto maggiormente verranno rispettati i seguenti criteri:
1. seguire un programma di educazione terapeutica specifico
2. provare differenti soluzioni anche rischiando l’errore ma traendo da esso i dovuti insegnamenti
3. personalizzare al massimo gli adeguamenti della terapia insulinica e dell’apporto di carboidrati in rapporto alle variabili suddette
4. non ultimo per importanza necessità per il diabetologo di seguire personalmente e praticamente l’atleta diabetico in talune occasioni per sperimentare direttamente le più diverse soluzioni terapeutiche. Un paziente insulino-trattato che sia in grado di adeguare la terapia insulinica in condizioni così variabili e difficili sarà una persona capace poi di controllare brillantemente il proprio comportamento glicemico nella vita quotidiana.
Adattamenti degli ipoglicemizzanti orali (OHA)
Nei diabetici in trattamento con OHA non vi è per definizione, essendo ancora insulino-secretori il rischio di ipoglicemia paradossa da ipoinsulinemia critica, in caso di A.F. L’unico rischio reale, pertanto, è quello della crisi ipoglicemica. Tale rischio è praticamente assente in soggetti in trattamento con farmaci non secretagoghi (metaformina, acarbose, glitazonici) in cui, anzi, la A.F. esplica un effetto additivo nel migliorare la resistenza insulinica. Le sulfaniluree, invece, aumentano il rischio di ipoglicemia da A.F. in misura tanto più marcata quanto più lunga è la loro attività. In soggetti che praticano A.F. andrebbero, pertanto, utilizzate sulfaniluree a breve attività come la glipizide o i derivati dell’acido benzoico come la repaglinide. Quest’ultima, infatti, contrasta prevalentemente l’ipoglicemnia post-prandiale senza esplicare un effetto apprezzabile nelle ore interprandiali. Sembra, inoltre, che la repaglinide esplichi un effetto secretagogo glucosio dipendente e quindi meno evidente, o assente, in presenza di glicemie normali o basse come può avvenire durante A.F. aerobica di lunga durata. Nella pratica clinica comune il diabetologo ha sperimentato che in presenza di un A.F. regolare il fabbisogno di sulfaniluree si riduce notevolmente fino, talora, alla totale abolizione. Su una ricerca multicentrica che ho condotto nella Regione Campania un programma di passeggiate di 90 minuti 4 volte alla settimana per 3 mesi produceva un significativo miglioramento delle HbA1c nonostante una riduzione del fabbisogno medio di OHA da 2 a 1,3 cps/die. Le associazioni di diabetologi raccomandano fortemente l’esercizio di una regolare A.F. non solo nella prevenzione del Diabete, come la recente letteratura ci ha mostrato, ma anche nel trattamento della malattia conclamata.